Al via la posa del cavo tra Calabria e Sicilia: risparmi per 800 milioni l’anno Boom delle richieste delle rinnovabili: domande per 120 mila megawatt, il doppio della potenza già installataParagraph. Altro che ponte sullo Stretto: finalmente è arrivata l'ora del ponte elettrico tra Sicilia e Calabria. Il cavo più invocato d'Italia ha ottenuto il via libera definitivo dai ministeri e il cantiere di Terna è già partito per posarlo tra Sorgente e Rizziconi, dalla provincia di Messina a quella di Reggio Calabria. Sarà la più lunga linea elettrica sottomarina in corrente alternata del mondo, con un tratto di 38 chilometri sotto le acque del Tirreno che aggira lo stretto di Messina.
I benefici Il collegamento, che richiede 700 milioni di investimenti, porterà 800 milioni annui di risparmio per il sistema elettrico italiano, risolvendo un'annosa congestione e garantendo finalmente la produzione delle centrali eoliche in grande sviluppo in Sicilia. Ma soprattutto, legando l'isola al continente, il nuovo elettrodotto permetterà di farla finita con i «giochetti» che mandano alle stelle il prezzo dell'energia elettrica siciliana. A spese non solo delle imprese e dei cittadini locali, ma anche di quelli nazionali, visto che il prezzo dell’area siciliana fa media con le altre zone d'Italia e quindi contribuisce a far salire il Pun, il prezzo unico nazionale. Per vederlo realizzato, comunque, ci vorranno almeno tre anni, avvertono da Terna, facendo notare che l'avvio del processo autorizzativo per questa linea così importante risale al 2006. E non è l'unica strozzatura nella rete, bloccata dalla lentezza delle autorizzazioni, che spesso vanifica la produzione elettrica dei campi eolici che spuntano come funghi in tutto il Centro- Sud. Come nel caso del famoso collegamento Foggia-Benevento, fermo dal 2006. Proliferazione È chiaro che la proliferazione di impianti diffusi, tipici delle fonti rinnovabili, crea un forte stress per il sistema. Terna ha investito oltre 1,5 miliardi per opere realizzate o in cantiere tra Puglia, Campania, Calabria e Sicilia, destinate principalmente al trasporto di energia da fonte eolica, e nei prossimi mesi investirà 2,1 miliardi in altre linee per questo settore. Ma le infrastrutture di rete non bastano mai. Il problema spesso sta nel modello utilizzato: invece dell'«autorizzazione unica», che accomuna nello stesso provvedimento sia l'impianto di produzione che gli interventi di rete, si continua a usare il vecchio modello che li teneva separati, generando problemi analoghi a quelli dei quartieri costruiti senza le strade e le fognature. D'altra parte non si può pensare di realizzare tutte le connessioni per cui è stata presentata una domanda: «Attualmente le richieste di connessione da impianti di fonti rinnovabili ammontano a 120 mila megawatt, un valore pari al doppio di tutta la capacità di generazione elettrica italiana», fanno notare da Terna. Va da sé che tutti questi impianti non verranno mai costruiti. Come scegliere quali arriveranno davvero in porto? C'è bisogno di maggiore chiarezza e a questo dovrebbe servire il provvedimento «sblocca reti» appena diventato legge. Verso i Balcani Intanto, Terna punta a fare dell'Italia l'hub elettrico del Mediterraneo, costruendo il primo ponte elettrico con i Balcani, con quasi 400 chilometri di cavo sottomarino attraverso l'Adriatico, fra l'Abruzzo e il Montenegro, e un'interconnessione con la Francia, che scavalca le Alpi. Un altro progetto, ancora di là da venire, è il collegamento sottomarino tra Sicilia e Tunisia. Progetti di alta tecnologia, che gettano le basi per un sistema di scambio tra l'Europa e i Paesi dirimpettai, con al centro le nostre autostrade dell’elettricità. Elena Comelli
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Da questo mese non sono più in vendita le lampade tradizionali da 75 watt. Entro due anni i bulbi smerigliati scompariranno del tutto dai negozi rimpiazzati dai nuovi modelli a basso consumo Erika Tomasicchio L’Unione europea manda in pensione le lampadine a incandescenza per sostituirle con le lampade a basso consumo energetico, più durature, economiche e di minore impatto ambientale. A partire da inizio settembre è scattato per tutti i negozi dell’Ue il divieto di commercializzare le vecchie lampadine da 75 watt, eccetto se vendute in stock, mentre già da un anno non si trovano più sul mercato quelle da 100 watt. Stessa sorte spetterà tra dodici mesi ai 60 watt, seguite a settembre 2012 dai 40 e 25 watt. L’addio al modello tradizionale, con bulbo di vetro e filo di tungsteno, è effetto di due regolamenti comunitari a favore dell’ambiente. Obiettivo: risparmiare circa 80 terawattora entro il 2020 (pari alla produzione annua di 20 centrali elettriche da 500 megawatt) e ridurre le emissioni di CO2 di circa 32 milioni di tonnellate l’anno.
Più luce con meno energia. Entro due anni le uniche lampade in circolazione saranno a basso consumo energetico. Si potrà scegliere tra alogene, lampadine a incandescenza migliorate di classe B e di classe C, lampadine fluorescenti compatte, lampadine a led. Le luci di nuova generazione richiedono fino all’80% in meno di energia e durano fino a 10 volte di più, permettendo a ciascuna famiglia di risparmiare dai 25 ai 50 euro all'anno sulla bolletta dell'elettricità. A incandescenza migliorate. Classe B: grazie a un rivestimento a infrarossi hanno un’efficienza del 45% superiore rispetto alle lampade a incandescenza. Tuttavia il vantaggio riguarda solo il basso voltaggio, mentre le lampadine a tensione di rete si possono usare solo con un trasformatore. Classe C: sono composte da una capsula alogena all’interno di un bulbo di vetro, durano il doppio delle lampadine tradizionali con la stessa qualità di luce. Le fluorescenti compatte. In commercio fin dagli anni 80 rendono quanto i vecchi bulbi smerigliati ma hanno un’efficienza di gran lunga superiore: durano da 6mila a 15mila ore. Un loro difetto è che spesso non si accendono all’istante, dopo aver premuto l’interruttore occorrono almeno 3-4 minuti per brillare del tutto. Inoltre contengono mercurio liquido e perciò rientrano tra i rifiuti pericolosi da smaltire in luoghi appositi all’interno di sacchetti sigillati. In caso di rottura sarà necessario areare la casa per disperdere le emissioni nocive e raccogliere il mercurio dal pavimento aiutandosi con nastro adesivo. Le nuove alogene. A differenza delle alogene standard a bassa tensione, che possono raggiungere massimo l’efficienza della classe C (e pertanto rimarranno in commercio fino al 2016), le lampade alogene di nuova generazione contengono gas Xenon e si basano su una tecnologia recente che consente un risparmio del 25%. La loro efficienza va progressivamente migliorando. Test condotti da Altroconsumo su alcune marche tra le più diffuse (Auchan, Carrefour, Ikea, Megaman, Osram, Philips, Sylvania) hanno dimostrato che non si accendono in ritardo e hanno una resa dei colori molto più fedele alla realtà rispetto al passato. Led, i diodi a emissione di luce. É la tecnologia più all’avanguardia oggi, ma ancora poco diffusa. Queste lampade sono efficienti quanto le fluorescenti compatte, non contengono mercurio e durano ancora più a lungo. In futuro potrebbero sostituire tutte le tipologie di lampade attualmente esistenti. .Nel 2009 le emissioni diminuitre del 6,9%Quasi raggiunti gli obiettivi fissati per il 2020. E in molti chiedono: «Ora ritocchiamo la soglia» Danilo Taino BERLINO - Anche le buone notizie si portano problemi. L'Agenzia europea per l'ambiente (Eea) ha fatto sapere che, grazie alla recessione, nel 2009 le emissioni di gas serra nei Paesi della Ue sono crollate e, ormai, l'obiettivo che i 27 Paesi si erano dati, cioè di tagliarle del 20 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, è quasi raggiunto: complessivamente, i 27 Paesi l'anno scorso hanno emesso il 17,3 per cento in meno di vent'anni fa. La crisi economica si è insomma trascinata una coda buona. Il problema è che la riduzione positiva dei gas immessi nell'atmosfera, probabilmente avvenuta anche nel resto del mondo, tende a rallentare gli impegni nei confronti dei cambiamenti climatici. Il fatto che l'economia rimanga debole non aiuta.
L'Eea ha calcolato che i gas serra emessi nel 2009 siano diminuiti del 6,9 per cento rispetto all'anno precedente, sia che il calcolo avvenga sui 27 Paesi della Ue o sui 15, escludendo cioè gli arrivi più recenti dell’Est europeo. La ragione sta in parte nell'aumento dell'uso di energie alternative, cresciute dell'8,3 per cento, ma soprattutto nel crollo della produzione industriale. L'uso di combustibili fossili (carbone, petrolio e metano), di gran lunga le maggiori fonti di energia, è sceso del 5,5%, in particolare in settori che divorano energia come le industrie del cemento, della chimica, dell'acciaio. Oltre alla caduta delle emissioni nei 27 Paesi della Ue, il risultato della contrazione economica è stato un crollo storico delle emissioni anche tra i 15: del 12,9 per cento rispetto al 2008, cioè per la prima volta meglio degli obiettivi che Bruxelles aveva firmato nel trattato di Kyoto, che richiedevano per quel periodo un taglio dell'otto per cento. Nel 2010, con una certa ripresa economica in corso, le emissioni torneranno probabilmente a salire, ha notato la stessa Eea. È però chiaro che i nuovi dati cambiano lo scenario delle trattative internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici, arenate dopo il mezzo fallimento della Conferenza Onu di Copenaghen lo scorso dicembre. Da una parte, abbassano il senso di urgenza che fino al 2009 è stato molto elevato in tutto il mondo occidentale. Dall'altra, offrono la possibilità di dare un colpo forte al livello globale delle emissioni, dal momento che il calo registrato in Europa è quasi certamente vero anche per gran parte del resto del mondo. Il primo appuntamento per verificare quale di questa due tendenze avrà la meglio sarà la Conferenza Onu sul clima, a novembre in Messico. Già si sa che non si arriverà nemmeno quest'anno a trovare un accordo per un trattato vincolante che sostituisca quello di Kyoto, in scadenza. Si tratterà di vedere se, ciò nonostante, il mondo riuscirà a fare passi avanti. Per quel che riguarda l'Unione Europea, i ministri dell'Ambiente di Germania, Francia e Gran Bretagna hanno già segnalato il desiderio di fare un passo ulteriore nella lotta all'effetto serra e di alzare il target del taglio delle emissioni dal 20 al 30% entro il 2020. E sabato 11 settembre la commissaria europea al Clima, Connie Hedegaard, ha chiesto alla Ue di essere più ambiziosa. Non tutti i Paesi europei sono d'accordo, finora Italia in testa. E anche una serie di organizzazioni dell'industria europea si oppongono a una misura che, se presa in modo unilaterale, penalizzerebbe la competitività delle imprese europee rispetto alle altre. L'Italia, in particolare, sarebbe chiamata a uno sforzo considerevole: l'anno scorso la recessione pare abbia ridotto le emissioni del nove per cento, ma fino al 2008 il Paese era in ritardo, con addirittura un aumento delle emissioni di quasi il cinque per cento rispetto al 1990. |